Articolo: Cervello e Musicoterapia di Giuseppe De Paoli per Brainfactor

 

 

Livio Bressan
 Livio Bressan
 
Michael Posner ha scritto su BrainFactor: "L'idea che l'educazione artistica migliori le abilità cognitive in realtà non è così ardita, nel contesto di ciò che chiamiamo plasticità cerebrale attività dipendente". Facciamo il punto sulla musicoterapia... Quali sono le sue basi neuroscientifiche? Come e quanto può essere clinicamente efficace? Qual è la sua realtà in Italia?

Lo abbiamo chiesto a Livio Bressan.

Professore a contratto di Neurologia Riabilitativa presso la Scuola di Specialità in Neurologia dell’Università di Milano-Bicocca, Livio Bressan è medico plurispecialista in Neuropatologia, Nefrologia Medica, Medicina Interna. Dirigente Neurologo presso gli istituti Clinici di Perfezionamento di Milano e consulente presso l’Istituto Geriatrico Redaelli di Milano e Vimodrone, svolge attività clinica e di ricerca nell’ambito della Riabilitazione delle malattie Neurodegenerative. E' Coordinatore del Dipartimento di Neuroscienze presso l’Istituto Superiore di Osteopatia accreditato dall’Università del Galles. Noto per l’ideazione di un insieme di tecniche finalizzate al recupero cognitivo emotivo motorio e sociale dei malati di Alzheimer e Parkinson, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
Livio Bressan è anche appassionato musicista... Diplomato al Conservatorio in Chitarra Classica e diplomando in Flauto Traverso all’Accademia Filarmonica di Bologna, è inoltre iscritto al Corso Superiore di Composizione presso l’Accademia Internazionale della Musica di Milano. Come Docente di Chitarra Classica ha preparato allievi che, sotto la sua guida, si sono diplomati presso vari Conservatori di Stato e, in molti casi, hanno vinto prestigiosi premi musicali Nazionali ed Internazionali. Sue Composizioni sono state eseguite da ensemble di fama internazionale quali il “Quintetto di fiati Arnold”, il “Trio Reginald”  e la “Brex Contemporain Ensemble”.


Dottor Bressan, anzitutto una definizione di musicoterapia...


Secondo una definizione della Federazione Mondiale di Musicoterapia (WFMT), "la MT è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un cliente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici, al fine di soddisfare le sue necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive".


Quali sono le basi neuroscientifiche della musicoterapia?


E’ verosimile che la Musicoterapia, nell’ambito di una concezione modulare del Sistema Nervoso Centrale, sia in grado di agire su circuiti neuronali in grado di stimolare la plasticità neuronale. La musica con la sua azione sull’imprinting maturativo, con la sua azione di piacere facilitante e, a volte, di regressione riparativa, è capace di promuovere pensiero e comportamento sia in condizioni di salute che patologiche.


In che modo la musicoterapia può agire sulle funzioni cognitive ed emotive umane?


Nell’ambito delle neuroscienze si sta consolidando il principio che l’input sensoriale sia in grado di facilitare, attraverso le strutture del lobo temporale, i processi di attenzione, osservazione ed apprendimento gestiti dal lobo frontale. In altre parole, stimolazioni musicoterapiche, fornite attraverso tecniche sempre più standardizzate e validate, si sono dimostrate in grado di produrre piacere, sia conscio che inconscio, in grado di agire su strutture anatomiche deputate all’attenzione, all’apprendimento, al pensiero e al comportamento.


Lei sostiene che la musicoterapia ha buone potenzialità soprattutto in situazioni in cui il terapeuta non può affidarsi a parametri linguistici e culturali. Ciò può avvenire in contesti molto diversi tra loro, come il trattamento delle demenze, dello spettro autistico nonché di disturbi più "comuni" quali ad esempio la depressione. Qual è la sua esperienza con questi pazienti?


Il malato di Alzheimer assieme ad un graduale declino delle funzioni cognitive può presentare una alterazione della personalità e del comportamento che condizionano la possibilità di continuare a rivestire ruoli sociali e lavorativi che gli erano stati fino a quel momento propri. In tali pazienti, perdendosi gradualmente la capacità di comprendere le parole ed esprimersi verbalmente, la comunicazione non verbale diventa un canale privilegiato nella espressione delle emozioni. Nella mia esperienza più che ventennale, ho osservato che attraverso l’utilizzo di strumenti musicali ed il movimento corporeo è possibile nel malato di Alzheimer: facilitare una comunicazione basata su un linguaggio non verbale; contenere i comportamenti disturbanti tramite la condivisione di vissuti emotivi; stimolare le abilità prassiche e gnosiche residue.


A proposito di autismo e, più in generale, delle piscosi: come e quanto la musica, “linguaggio” emozionale per eccellenza, può varcare i confini psichici di queste persone, considerate anaffettive e a-recettive? Quanto può incidere davvero sulla loro realtà psichica e in che modo?


A livello professionale e di ricerca mi interesso della applicazione delle terapie espressive (arte, musica e danza) ai malati di Alzheimer e Parkinson. Ho però seguito con partecipazione ed ammirazione le ricerche di Paul Nordoff e Clive Robbins, pionieri nell’uso della musicoterapica nei bambini con disturbi comunicativi. Dai tempi dei primi progetti di Nordoff e Robbins (che risalgono all’inizio degli anni Sessanta del Novecento), l’uso della Musicoterapica nell’Autismo infantile ha conosciuto un enorme sviluppo. Tant’è che da molti anni esiste anche a Milano un Centro di Musicoterapica per bambini. In tale Centro ho avuto modo di osservare le potenzialità della musica nel ridurre lo stress, l’agitazione ed i movimenti stereotipati quali il dondolio, il battito ripetuto ed afinalistico delle mani, etc. Ma ciò che più mi ha colpito è stata la facilitazione attraverso l’esecuzione musicale della relazione interpersonale tra persone autistiche altrimenti inaccessibili col linguaggio verbale.


La musicoterapia ha delle controindicazioni? Se sì, quali?


In alcuni casi, la musica può indurre crisi epilettiche (epilessia musicogena). Tale fenomeno si può manifestare in persone con vari livelli di educazione musicale con o senza interesse specifico per la musica. Lo stimolo efficace è scarsamente specifico. Ovvero, non vi sono elementi rilevanti comuni a tutti i pazienti... L'epilessia musicogena è comunque una condizione molto rara.


Parliamo di un fenomeno raro; qual è la sua prevalenza?


La prevalenza dell'epilessia musicogena è valutata nell'ordine di un caso su più di un milione di persone, laddove la prevalenza dell'epilessia in generale è di 6-8 casi per 1.000 persone.
Gli attacchi sono stimolati da ascolti prolungati o bastano poche "battute"?
Gli attacchi non sono solitamente causati da ascolti prolungati. In alcuni casi lo stimolo acustico in grado di indurre le crisi epilettiche è rappresentato da suoni di breve durata in combinazione armonica o melodica (cioè da incisi o frasi musicali). In altri casi rumori improvvisi o una semplice nota musicale possono indurre le crisi epilettiche.


Le crisi sono immediate?


Comunemente le crisi compaiono con una latenza di minuti dallo stimolo: sono di tipo focale con possibilità di secondaria generalizzazione. Nella maggior parte dei casi ad essere coinvolto dalla scarica critica è l’emisfero destro con coinvolgimento del lobo temporale. In particolare, è stato dimostrato che la zona epilettogena interessa la circonvoluzione temporale superiore destra.


Vi sono segnali che possono mettere in "allerta" il musicoterapeuta?


Il musicoterapeuta deve effettuare una approfondita anamnesi, poichè in ogni singolo paziente che ha presentato una crisi di epilessia musicogena, di solito le crisi sono precipiate da uno specifico tipo di musica o da uno specifico brano musicale.
Recentemente ha detto che "ogni essere vivente ha il proprio suono", perché la musicoterapia può incidere sugli universi emozionali affettivi personali, che sono in qualche modo "unici" . Come è possibile trovare questo suono? In che modo lo si può utilizzare in ambito terapeutico?
Intanto, la scelta dei brani deve prescindere da considerazioni estetiche del tipo “musica bella e piacevole”. La musica, piuttosto, deve avere lo scopo di stimolare aree psichiche quiescenti, e coinvolgere livelli affettivi più complessi. Alcune musiche, più di altre, hanno questi poteri e sono quelle che colpiscono il mondo degli affetti. Sul piano delle scelte musicali esiste una letteratura un po’ confusa perché spesso si sceglie l’autore ed il genere di musica senza tenere conto del “tipo di ascoltatore”. Ritengo, al contrario, che al centro dei nostri interessi debba porsi il paziente, altrimenti il rischio è quello di proporre della musica che piace a colui che la somministra. Solo l’anamnesi musicale ci consentirà di capire quale cultura musicale possieda il malato e in quale ambiente sonoro abbia vissuto.
Ci sono dei generi musicali "più adatti" agli interventi terapeutici? E, se si, per quali ragioni vengono scelti?
La maggior parte degli studiosi di terapia musicale sembra privilegiare la musica classica, attribuendo solo ad essa poteri terapeutici. E’ indubbio che vi è stata una maggiore ricerca in questo ambito musicale, verosimilmente perché oltre a proporre un messaggio ricco ed articolato, questo è anche un genere musicale già ampiamente collaudato nel corso del tempo e noto al grande pubblico.


Funziona meglio  una musica gia' conosciuta o nuova?

Una musica nuova ci porta a sviluppare alcune funzioni psichiche fondamentali come l’attenzione e una certa aspettativa che, a loro volta, sono in grado di suscitare emozioni e nuove associazioni. Ascoltando musica mai ascoltata si può essere “rapiti” e indotti ad esplorare un pianeta nuovo. Tuttavia, riteniamo che anche i brani musicali già noti - di cui cioè conosciamo lo sviluppo dei temi musicali - evocando ricordi legati a specifiche circostanze temporali e spaziali possano farci raggiungere interessanti obiettivi.


Ci sono dei percorsi terapeutici "sonori" consigliati?


Per i nostri scopi terapeutici abbiamo costruito diversi percorsi sonori, mirati sul singolo paziente, che vengono modificati settimanalmente e che comprendono brani di musica classica tutti dello stesso Autore. Tuttavia, il segreto del percorso terapeutico non è tanto riposto nella scelta del tipo di brano musicale, quanto nella collocazione in logica sequenza dei brani stessi. Ovvero, il problema è il seguente: una volta individuato il brano di partenza, quali altri brani dobbiamo aggiungere e in quale ordine per ottenere il risultato che desideriamo? Non esiste una regola precisa.


In quale contesto disciplinare e clinico si colloca "ufficialmente" la musicoterapia?


La musicoterapica è collocabile nel contesto delle “medicine complementari” o “non convenzionali”, dette anche impropriamente “alternative”. Quello delle medicine complementari è un territorio difficile da definire, in cui si muovono medici ed altri operatori della salute dal curriculum impeccabile, sia guaritori dalla buona fede non sempre certa, tutti accomunati dal fatto di applicare terapie generalmente non insegnate nelle facoltà di medicina, né disponibili negli ospedali. Senza entrare nella polemica tra fautori e detrattori di queste metodiche, le medicine complementari promuovono la cura dell'essere umano attraverso l'esplorazione d'ogni suo aspetto: fisico, psicologico, emozionale, cognitivo, sociale e spirituale. L'accento è messo sull'originalità dell'intervento, spesso descritto per la sua globalità con la parola olistico, dal greco "Olos" che significa “tutto”, e che non tralascia mai, anzi avvalora, la sfera delle emozioni e del vissuto soggettivo e psicologico della persona ammalata. In questa visione, la malattia non nasce esclusivamente da una disfunzione biologica, né s'identifica in modo riduttivo con un "danno isto-patologico di un tessuto o di un organo", ma coinvolge tutta la persona, anche nei suoi aspetti intimi, psicologici e sociali. Una delle più frequenti critiche dei fautori delle medicine non convenzionali alla prassi medica contemporanea, è la disattenzione al lato emotivo della malattia; dunque, l'eccessivo impegno nel dimostrare "l'oggettività del dato osservato". Secondo questa opinione, l’eccessiva ricerca di “oggettività” della medicina scientifica finirebbe per distogliere l'atto del sanitario dai suoi propositi originari. Al contrario, la malattia, secondo il punto di vista “olistico”, dovrebbe essere affrontata con un'assistenza integrata, rivolta al miglioramento della qualità di vita, dove le procedure sanitarie, prioritarie per gli aspetti biologici della terapia, possono essere accompagnate da altri interventi non-medici, ma sempre rivolti al raggiungimento del benessere psicofisico della persona.


Qual è lo stato dell'arte dell'utilizzo clinico della musicoterapia?


Recenti dati dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) indicano che il 15% degli Italiani ricorre alla Medicina Complementare almeno una volta all’anno... Negli U.S.A. e nel resto d'Europa gli interventi di tipo “olistico” sono maggiormente diffusi e sono solitamente condotti in piena autonomia da un Operatore esperto in metodologie complementari, d'intesa con medici, infermieri e altri operatori della salute. Questi interventi, secondo i modi, le metodologie impiegate e la maggiore o minore diffusione nello stato estero in cui vengono applicati sono di volta in volta inquadrati come assistenziali, ricreativi, di socializzazione e anche "ecologici", poiché tendono, in questo caso, a migliorare la qualità dell'ambiente che ospita le persone bisognose di cure.
In Italia, in particolare?
La Regione Lombardia, ad esempio, da più di un decennio sta dimostrando grande attenzione ed interesse al “fenomeno” delle Medicine Complementari. Partendo dal presupposto che sia “eticamente inaccettabile” sostenere nuove pratiche terapeutiche, se la loro sicurezza ed efficacia non è pari almeno a quella di altre terapie disponibili, la Regione ha avviato anche alcuni strumenti metodologici di verifica, con il fine di approfondire le conoscenze relative alle metodiche complementari nell’intento di fornire criteri di sicurezza ed efficacia in grado di tutelare tanto i cittadini quanto gli operatori stessi. Sono stati preparati molteplici protocolli di ricerca presso vari autorevoli istituti di diagnosi e cura con il fine di integrare i contributi della ricerca nel settore della medicina complementare con quelli della medicina tradizionale.


Intervista realizzata da Giuseppe de Paoli il 02/02/2010 (C) BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze

Ringraziamo Giuseppe de Paoli e Brainfactor per averci permesso di pubblicare l'articolo in questa sede.