Intervista a Jay Clayton

 

 

 

 Jay Clayton

INTERVISTA A  JAY CLAYTON  di : Eva Simontacchi
Fotografie: Eva Simontacchi e archivio personale di Jay Clayton
12 giugno 2005 


A più di 20 anni dal suo album di debutto “All Out”, Jay Clayton resta sempre la più avventurosa cantante jazz, una specialista nell’improvvisazione vocale senza l’uso della parola, e un’esperta nella ricerca e nella scoperta di nuovi significati nelle melodie e nei testi della canzone popolare classica

Francis Davis, The Village Voice, 14 luglio 2004

Jay Clayton è una vocalist, compositrice ed educatrice acclamata a livello internazionale, il cui lavoro spazia dal jazz alla new music. Le esplorazioni vocali pionieristiche di Jay Clayton l’hanno piazzata agli apici del movimento del free jazz e della “loft scene” negli anni ’70, in cui è annoverata tra i primi cantanti che hanno ardito incorporare poesia ed elettronica alle loro improvvisazioni. Per lungo tempo ha collaborato con il celebre compositore minimalista Steve Reich.

Con oltre 40 incisioni al suo attivo, Jay Clayton è apparsa più volte al fianco di formidabili artisti quali Muhal Richard Abrams, Kirk Nurock, Stanley Cowell, Lee Konitz e Fred Hersch, e a colleghe vocalists quali  Jeanne Lee, Norma Winstone, Urszula Dudziak e Bobby McFerrin. Jay Clayton incide attualmente per la Sunnyside, e il suo album più recente, “Brooklyn 2000”, ha ricevuto entusiasti commenti dalla critica. I suoi molteplici successi includono riconoscimenti da parte di:
National Endowment for the Arts, Meet The Composer, e Chamber Music America (2004). Ha lavorato con migliaia di studenti negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

Jay Clayton ha insegnato presso il Cornish College of the Arts a Seattle, Washington, per oltre 20 anni. Di recente (2001) ha fatto le valigie, e ha fatto ritorno alla sua “casa spirituale”: New York City. “Stavo passeggiando quando sono stata colta da una intuizione”, dice. “I miei figli erano cresciuti. Avrei potuto viaggiare e tenere delle master classes invece che mantenere la cattedra. E in effetti, mi mancava anche l’energia di New York”.

Il suo compito, attualmente, è quello di far rivivere le numerose collaborazioni avute nel corso di tutta la sua carriera, e di crearne di nuove. Prendendo spunto dal grande sassofonista Eric Dolphy, che riconobbe l’importanza di suonare con molti musicisti diversi, Jay Clayton ama esprimersi in una gran varietà di situazioni. Il dialogo che si viene a creare con i suoi talentuosi compagni di band le fornisce una incredibile fonte di ispirazione.

Le date dei concerti di Jay Clayton appaiono sotto la dicitura “the Jay Clayton Project”, mentre quando collabora con altri stimati vocalists, le voci vanno sotto la dicitura: “Voci Diverse”. E’ co-leader di un trio, gli “Outskirts” con Jerry Granelli e la sassofonista Jane Ira Bloom, sua compagna sperimentatrice nel reame dell’elettronica. Le sue collaborazioni con entrambi i musicisti durano da oltre 30 anni. Jay Clayton si esibisce in varie situazioni con il pianista Kirk Nurock, in duo con il chitarrista Jack Wilkins e il pianista Armen Donelian. Tra le sue frequenti collaborazioni troviamo anche Kirk Nurock, Gorge Cables e Fritz Pauer, il sassofonista Gary Thomas, il bassista Mike Formanek, il trombonista Ed Meister, e l’acclamata ballerina di tip tap Brenda Bufalino. Jay Clayton inoltre si cimenta in avventurosi concerti solistici.

Italoamericana della seconda generazione, Jay Clayton è nata a Youngstown, Ohio, da Judith Colantone nel 1941. “Mia madre era una cantante jazz frustrata, dell’era delle big band”, dice Jay Clayton. “Cantava professionalmente da giovane, ma non c’era modo per una donna sposata con prole di far carriera” La giovane Judy iniziò a canticchiare gli standard che ascoltava in casa, e imparò a suonare la fisarmonica. Ben presto passò al pianoforte, e proseguì con lo studio dello strumento per svariati anni. Il direttore del suo liceo la incoraggiò a iscriversi presso un istituto musicale, e passò l’estate dopo la maturità al St. Louis Institute of Music.

Nella sua famiglia fu la prima a frequentare l’università. Si iscrisse al programma di musica presso la Miami University of Oxford, Ohio. Si diplomò in educazione musicale, considerata una carriera adatta ad una donna. Ovviamente, come in molte altre scuole di quel periodo, l’unico indirizzo possibile era l’indirizzo classico. Dietro le quinte, però, Jay Clayton esplorava la musica di John Coltrane e Miles Davis. “Ascoltavamo il jazz molto seriamente”, spiega. “Ho visto Coltrane in un minuscolo bar a Cincinnati. Il modo in cui collegava una nota all’altra – prendendo la melodia e variandola impercettibilmente ampliandola o semplificandola – mi sbalordì. E Miles invece, cantava per mezzo del suo strumento. Sono stati i  fiati a penetrare nella mia anima.”

Sebbene lei non potesse sapere cosa sarebbe successo nel futuro, la preparazione di Jay Clayton si dimostrò molto utile quando arrivò a New York City nel 1963, epoca segnata da una sperimentazione senza precedenti. Mentre lavorava in ufficio di giorno per potersi mantenere, Jay Clayton esplorava questa entusiasmante nuova scena di notte. Proseguì con i suoi studi vocali privatamente; Paul Bain, un cantante folk, insegnante di tecnica classica, lavorò con lei per cinque anni. Trovò un mentore nel sassofonista Steve Lacy. Attraverso di lui, Jay Clayton iniziò a comprendere che non avrebbe dovuto per forza compiere una scelta tra standards e free music; avrebbe potuto essere influenzata dalla tradizione senza per questo esservi legata mani e piedi. Lacy la aiutò a entrare in contatto con musicisti della sua stessa età e preparazione: per mezzo del bassista Louis Worell, Jay Clayton incontrò il trombettista Marc Levin e il suo futuro marito, il batterista Frank Clayton. (Le prime incisioni delle sue improvvisazioni possono essere ascoltate su “Songs, Dances and Prayers” di Levin).

Man mano che la scena del jazz nei club veniva rimpiazzata dall’imperante interesse nel rock’n’roll, i loft iniziarono a diventare il luogo d’incontro musicale per gli artisti. Nel 1967, Jay Clayton e suo marito Frank presentavano regolarmente il Jazz nel loft della loro casa in Lispenard Street, una delle prime serie di concerti nei loft. Sam Rivers, Cecil McBee, Jo Ann Brackeen, Dave Liebman, Pete Yellin, Hal Galper, Jeanne Lee, Bob Moses, Jiunie Booth, John Gilmore, e Jane Getz figurano tra i musicisti ospiti di queste serate. Jay Clayton iniziò anche a guadagnarsi una reputazione come cantante avant-garde, sviluppando il suo personale vocabolario senza parole.

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Nel 1971, Jay Clayton iniziò a tenere workshops di esplorazione ed improvvisazione vocale, come anche workshops sul suono e sul movimento insieme a Michelle Berne e a Jeanne Lee. Tenne un concerto insieme a Muhal Richard Abrams al Joseph Papp Public Theater, un progetto inciso sotto al titolo “Spihumonesty” (Black Saint 1979) con l’Interface di John Fischer e l’Unity di Byron Morris. Quale artista indipendente già solita a crearsi le proprie situazioni, Jay Clayton agì quale direttore artistico per il primissimo Women in Jazz Festival, prodotto da Cobi Marita nel 1979. Lavorò come consulente per la ABC Cable’s Women in Jazz. Nel 1980 uscì “All Out”, il suo primo album in qualità di leader, con Jane Ira Bloom, Harvie Swartz, Larry Karush e Frank Clayton.

Mentre la sua carriera jazzistica iniziava a fiorire, Jay Clayton iniziò anche ad emergere sulla scena della new music. Nel 1971, il compositore minimalista Steve Reich era in cerca di una cantante jazz con una buona lettura musicale. Jay Clayton, il cui loft si trovava dietro l’angolo rispetto alla casa di Reich, aveva tutte le caratteristiche per ricoprire quel ruolo. Apparve infatti regolarmente in alcuni dei lavori di Reich, tra cui: Drumming, Music for Eighteen Musicians e Tehillim. (Molte di queste incisioni sono state ripubblicate su Nonesuch). Clayton andò in tour con Steve Reich and Musicians per oltre dieci anni, e continua ad apparire con l’ensemble.

La versatilità di Jay Clayton la portò anche a fare alcune delle prime incisioni di musica vocale del compositore John Cage. Sebbene Cage non fosse particolarmente interessato ad avere delle incisioni dei suoi lavori all’epoca, ascoltò Jay Clayton mentre interpretava “She’s Asleep”. E lo incise sotto gli auspici del produttore Heiner Stadler.

Nel 1982 Jay Clayton lasciò New York con la sua famiglia, avendo accettato una cattedra al Cornish College di Seattle, dove istituì il programma di vocal jazz. Sebbene si fosse allontanata dalla capitale east coast del jazz, Jay Clayton trovò prontamente dei validi collaboratori tra i nuovi colleghi di facoltà. Con il trombonista Julian Priester, il bassista Gary Peacock, e il batterista Gerry Granelli, formò il gruppo “Quartett”. Il giornalista Paul de Barros scrisse di loro: “Spingono istantaneamente l’improvvisazione di gruppo al livello a cui sì è sempre aspirato: maturo, sonoro, interattivo, e guidato da una comprensione della forma che è tanto logica quanto intuitiva”.

Avendo seguito per anni gruppi vocali a cappella nel corso del suo insegnamento, Jay Clayton aveva anche pensato a un ensemble vocale professionistico. Nel 1982 fu invitata a un vocal jazz forum in Germania, diretto dal noto produttore europeo Joachim-Ernst Berendt, per dimostrare ciò che delle voci avrebbero potuto fare improvvisando. Vocal Summit, un ensemble vocale a cappella, si sviluppò in seguito a questo meeting. Secondo le varie occasioni, i suoi membri hanno incluso Urszula Dudziak, Michele Hendricks, Jeanne Lee, Bobby McFerrin, Lauren Newton, Norma Winstone e Bob Stoloff. Sebbene il gruppo si sia sciolto, Jay Clayton vede il potenziale per un revival con Dudziak, Hendricks e Winstone, il gruppo che aveva inciso “Conference Of The Birds”.

Nel corso della sua carriera, Jay Clayton si è esibita e ha inciso negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. Dal 1990 sono uscite varie incisioni, incluso “Live At Jazz Alley” (ITM 1995), “Beautiful Love” (Sunnyside 1995), un album in duo con il noto pianista Fred Hersch; “Circe Dancing” (Sunnyside 1997), e “Brooklyn 2000” (Sunnyside 2001). E’ apparsa in locazioni prestigiose quali il Lincoln Center, il Kennedy Center, Town Hall, Jazz Alley, The Kitchen, Sweet Rhythm, il Tin Palace, il Metropolitan Museum of Art, e ai più importanti jazz festival europei quali North Sea, Montmartre, e Donaueschingen.

Esperta insegnante, Jay Clayton crea un’atmosfera in aula che permette agli allievi di sperimentare libertà musicale, dando loro la sicurezza per creare il loro  vocabolario personale a livello sonoro. Oltre alla cattedra al Cornish College, Jay Clayton ha insegnato per vari semestri presso il New York’s City College, presso l’Universitat fur Musik a Gratz in Austria, e al Bud Shank Jazz Workshop. Ha sviluppato un programma vocale per il Banff Center, dove ha tenuto dei corsi insieme a Sheila Jordan. Sheila Jordan, che lei conobbe a New York negli anni ’70 è stata anch’essa un suo mentore. Insieme hanno tenuto corsi anche al Vermont Jazz Workshop, Jazz in July (presso la University of Massachusetts, Amherst), e presso il loro centro vocale  alla Willow Lane Farm a Berne N.Y. Jay Clayton ha presentato le sue master classes alla Manhattan School of Music, Peabody Conservatory, Colonia, Berlino, Monaco. Il suo libro “Sing Your Story: A Practical Guide for Learning and Teaching the Art of Jazz Singing”, è stato pubblicato nel 2001 da Advance Music.
(biografia di Lara Pelligrenelli; traduzione di Eva Simontacchi)

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Eva Simontacchi, Jay Clayton

Intervista:

Eva Simontacchi: Jay, come ha avuto inizio tutto quanto? La musica, il canto, l’insegnamento?

Jay Clayton: Ho sempre cantato, fin da bambina, ma ero molto timida. Mia madre era una cantante, ma non arrivò mai a cantare professionalmente in quanto non era una cosa proponibile o accettabile a quei tempi. Quando cantava gli standards, lei non sapeva nemmeno che si trattasse di standards. Pensava fossero brani pop negli anni ’30. L’ho sempre sentita cantare in casa, ma per quanto mi riguarda, io cantavo a scuola, facevo parte di un coro, di un trio. Amavo la musica…. Non mi sono mai chiesta perché. Mi limitavo a cantare, e ci riuscivo.

All’età di circa diciassette anni, mio cugino mi diede tre dischi: si trattava di Dave Brubeck, Miles Davis e Ramsey Lewis. Ricordo quel momento ancora molto chiaramente. Non conoscevo questi musicisti, e non conoscevo il genere musicale, ma quella musica la adorai fin dal primo ascolto! Mentre parliamo, riesco a “vedere” la casa, ricordo esattamente in quale punto della casa mi consegnò i dischi…. Non è una cosa buffa? E stiamo parlando di cinquant’anni fa! Dopo averli ascoltati, mi venne voglia di ascoltarne ancora, qualunque cosa fosse. E mio cugino mi disse: “Questo è Jazz”. Così, mi iscrissi al Columbia Record Club, che in quei giorni per un penny, ti spediva un pacco di dischi al primo invio. Dopo, ti inviava un disco al mese, dietro pagamento, ma all’inizio ti mandavano 5 o 6 dischi. Dovevi semplicemente mettere una crocetta sul genere che ti interessava: pop, classico, ecc. Ovviamente misi la mia crocetta sul Jazz. Fu in quel momento che iniziai ad ascoltare. E nel frattempo, come dicevo poc’anzi, mia madre continuava a cantare in giro per la casa, ma cantava “The Nearness of You”, piuttosto che “Everything Happens To Me”…..

Iniziai ad ascoltare, ma ricordate che avevo circa sedici o diciassette anni, eravamo verso la metà degli anni ’50, e andando a ballare, c’era ancora l’abitudine di eseguire qualche standard.
Ricordo la prima o la seconda volta in cui cantai in pubblico. Non riesco a credere di avere avuto il coraggio di chiedere: “May I sit in?” (“Mi fate cantare?”) Cantai “Moonlight In Vermont”. Ricordo che cantai con la band al completo, e riesco ancora a ricordare la sensazione che provai cantando in quel microfono, cantando con la band. E a quel tempo sapevo persino cosa fosse un “bridge” e mi sentivo così orgogliosa di me! Così dissi: “La canto tutta, e poi rientrerò al bridge… ecc.” come se sapessi di cosa stavo parlando! Ho tutti questi ricordi…. Comunque, iniziai ad ascoltare seriamente.

Alla fine decisi di andare al College, anche se non sapevo esattamente cosa fosse. Nessuno era mai andato al college prima di me in famiglia. Fui una delle prime. Avevo un’amica il cui ragazzo era un bassista jazz. Ci credereste? A Youngstown in Ohio! Quando mi guardo indietro, mi rendo conto che è stata molto più che una coincidenza. Non c’era molto jazz lì intorno, ma c’era del jazz a Youngstown, in Ohio. Il ragazzo di questa mia amica suonava nei ristoranti, ed io li raggiungevo e cantavo con lui. In altre parole il tutto iniziò semplicemente “sitting in” (chiedendo di cantare quando qualcuno suonava). E lui la musica la conosceva anche bene! E questo fu un inizio!

Poi partii per il college, perché avevo l’esigenza di andarmene di casa! Non avevo idea di cosa fosse un college, di come funzionasse. Veniva gente alla nostra scuola, e ci parlavano dei vari college, e decisi di scegliere questo. Sapevo che avrei dovuto scegliere un college in Ohio, perché sarebbe stato meno caro che in un altro stato. E una mia amica mi disse: “Andiamo alla Miami University!” (è in Ohio). Di conseguenza mi iscrissi lì. Mi accettarono, e sapete cosa accadde? Lei decise di non venire più! Dunque ci andai da sola! Potete immaginare la scena? Io, che ero così timida! Comunque ci andai. Mi ci accompagnarono i miei genitori, si trattava di un viaggio di cinque o sei ore in automobile, ed era abbastanza lontano. Io desideravo essere abbastanza lontana da non dover tornare a casa ogni fine settimana. Vedete? Avevo l’esigenza di andare via da casa.

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Al college, iniziai a cantare in giro per il dormitorio, come in un “meeting”. Nel dormitorio si tenevano delle piccole riunioni, in effetti, e cantavo brani quali “Green Dolphin Street” a cappella. Ora che me l’hai chiesto, ho questi ricordi…. Ho un ricordo molto chiaro di una volta in cui ho cantato “My Funny Valentine” per una mia compagna di stanza,  in lavanderia, mentre lavavamo i panni nello scantinato. Un’altra mia compagna di stanza era “major” in musica classica. Mi avevano iscritta al corso di “educazione elementare”, ma io non sapevo che si potesse studiare la musica. Non ne avevo idea! Dunque questa compagna mi disse: “Perché non ti fai spostare di corso? Passa a musica e diventa una “music major”!” E io risposi: “Non so cosa comporterebbe cambiare corso”, però avevo preso lezioni di piano in passato, e conoscevo la teoria.

Quando prendevo lezioni di piano da bambina, la mia insegnante mi faceva seguire un corso di teoria tutti i sabati. Quando dico “mi faceva”, intendo dire che a me non interessava, ma avevo imparato le scale, gli intervalli… Dunque questa compagna mi disse: “Perché non vai a parlare al Dott. Nelson?” Così mi recai dal Direttore del settore Musica, e mi accettò nel corso di educazione musicale come “music major”. Major per la voce e minor per il pianoforte. Ovviamente si parla di musica classica. Era tutto classico. Non c’era il Jazz.

Poi accadde che la stessa compagna di stanza, Sally Workman, mi disse: “ Sai una cosa? Perché non vai a cantare per John Watson?” John Watson era un musicista jazz che era al campus.  Era stato via in servizio per quattro anni, poi era rientrato a scuola, era trombonista, e conosceva la musica jazz. “Lui ti saprà dire se puoi cantare” continuò la mia amica. Detto fatto. Lui suonava un po’ il piano, e ricordo di avere cantato “What’s New”, e forse anche qualcos’altro, non so. Lui mantenne un sorrisetto sulle labbra fino alla fine mente ascoltava. E, dato che aveva delle serate durante i weekend al campus del college, mi invitò a cantare con lui. Disse: “Come and sit in”. E ricordo perfettamente mentre ne sto parlando, che era il 1960, e che cantai “My Funny Valentine” in questo piccolo Club del College con un piano elettrico, e tutto quanto. E mi ricordo anche quanto fossi tesa e nervosa!

Dunque, iniziai a cantare con la band. A 10 dollari…. Il pianista era un pianista classico che suonava il jazz, e i musicisti mi hanno insegnato molto. Avevano un sacco di dischi. Mi fecero conoscere Mingus, mi parlarono di Monk. Non sapevo neppure chi fosse Monk! Non sapevo chi fosse Ornette Coleman….. e ascoltavamo tutta questa musica. I miei studi musicali erano di matrice classica, ma durante i weekend ascoltavamo il jazz. Si è trattato di una buona educazione musicale a mio avviso. E quando mi sono laureata, la band con cui lavoravo trovò un lavoro in upstate New York. Io servivo ai tavoli fino alle 22:00, poi andavo a cantare con la band. E’ stato veramente molto interessante! Pensavo: “Dove devo andare? Devo andare a New York? Oppure in California?” Sapevo che non sarei tornata in Ohio. Non c’era abbastanza jazz là, ed io non potevo farne più a meno!

E ricordo un altro fatto importante; racconto anche quest’altro episodio. Scoprii “Downbeat”, ed era di difficile reperibilità in Ohio… tutti questi piccoli paesini. Ma quello era il mio collegamento con il jazz, e comprai un “Downbeat” mentre ero al college, e lessi un articolo su Sheila Jordan. Non sapevo chi fosse, e me lo ricordo anche questo, come fosse ieri. Come mi sarebbe piaciuto conservare quella copia…..

E.S.: Stai parlando di “Downbeat Magazine”?

J.C.: Si, il “Downbeat Magazine”. E ora, ripensandoci, in quanti “Downbeat” compare Sheila Jordan? Voglio dire, pochissimi! Non ce ne sono così tanti che parlino di lei! E io ho trovato proprio quello che parlava di lei, e lo sapevo che era all’avanguardia. Lo sapevo…. Quando arrivai a New York incontrai altri musicisti, perché poi scelsi di partire per New York alla fine. Mi laureai e trovai questo gig in “Thousand Islands”, servii ai tavoli, e cantai durante i weekend, e poi andai a New York. Avevo solo poche centinaia di dollari, e non so come ho fatto, ma trovai una sistemazione insieme a una cantante del college che trovò un appartamento in condivisione con altre due ragazze.

Poi mi misi alla ricerca della musica! E a quell’epoca suonavano tutti…..  Monk, Coltrane, tutti! Sonny Rollins, Mingus, John Coltrane. Ero timida, ma dovevo assolutamente andare ad ascoltare tutta questa musica! Ed ero anche alla ricerca di qualcuno…. Che fosse al mio livello, capisci? Sapevo come fare per andare ad ascoltare Monk, ma quando si trattava di trovare qualcuno con cui cantare, era tutto un punto di domanda. Avevo già un repertorio perché avevo fatto delle serate al college. Dunque, in breve, questa è la mia storia.

L’estate prima di rientrare al college, mi recai a New York in visita, e andai ad una serata di Steve Lacy e Roswell Rudd, che stavano presentando un repertorio di Monk. Andai a sentirli con i miei compagni di college, e rimasi così toccata da quell’esperienza!
Così, quando tornai a New York, dopo un po’ mi dissi: “Come farò a trovare questa musica?” Presi in mano l’elenco telefonico e cercai Steve Lacy.

E.S.: Hai cercato il suo numero sull’elenco telefonico?

J.C.: Puoi immaginare che coraggio mi ci è voluto? Non ci posso credere neppure io! L’ho cercato sull’elenco….. è come andare a cercare Miles Davis, sai? L’ho cercato e l’ho trovato. E poi l’ho chiamato: “Pronto? Mi chiamo Jay Colantone, mi sono appena trasferita a New York, e sono una cantante jazz. Sono una cantante in erba, parecchio in erba. Sono venuta ad ascoltare la sua musica, è meravigliosa!” Poi ho aggiunto: “Mi spiace disturbarla, ma credo che lei mi potrebbe aiutare. Mi dica dove potrei fare dei “sit in” (n.d.r. cantare), un posto dove potrei trovare musicisti della mia età.” In effetti, Steve Lacy non è molto più vecchio di me, ma lui era già affermato all’epoca, mentre io assolutamente no. E se penso che mi ha anche parlato! Ora rimpiango di non avere registrato la telefonata! Gli ho parlato varie volte. Una volta mi disse: “Andrò ad ascoltare Monk al “Five Spot”. Trovati là che ci incontriamo.” In altre parole, mi stava aiutando ad andare a sentire Monk senza dover spendere un’enormità di biglietto, in quanto lui sapeva dove potevano stare i musicisti jazz durante i concerti. Al “Five Spot” c’era un bar, e dietro al bar c’era uno spazio dove potevano stare alcuni musicisti jazz senza dover pagare. Così ci andai con lui. Non è una cosa straordinaria? E’ stato così gentile e alla mano! Poi, non ricordo…. Può essere che io abbia fatto un “sit in” con Steve una volta, ma sono certamente andata a sentirlo suonare diverse volte. E ormai, a quell’epoca, aveva la sua band, e non suonava più solo Monk. Aveva un bassista, Louis Worrell, che ora non abita più a New York. Nel periodo della guerra in Vietnam c’erano un sacco di concerti contro la guerra, e Louis suonava con Marc Levin.  Marc Levin  vive a Copenhagen attualmente. Aveva un gruppo free, e lui suonava musica free – stiamo parlando degli anni ’60. Non avevo mai ascoltato la musica free prima di allora. Fu la mia prima volta. In ogni caso, aveva questa band formata da sette o otto elementi, e doveva preparare un concerto contro la guerra in Vietnam. Inizialmente ci sarebbe stato anche un piccolo trio, per poi far subentrare la band in formazione completa. Louis disse a Marc: “ Perché non fai cantare una vocalist con il trio? Chiama Jay Colantone a cantare con il trio!” Allora Marc Levin mi telefonò, io cantai con il trio, e Frank Clayton era il batterista del trio…. Visto? E questi ragazzi avevano la mia stessa età. Avevamo circa vent’anni. A loro piacque il risultato, e mi invitarono per delle sessions a casa loro (vivevano nella lower east side), ed io li invitai per delle sessions a casa mia. Così, iniziai ad incontrarmi con persone della mia età, e a recarmi alle sessions, e ovviamente questi musicisti sapevano cosa stava succedendo sulla scena del jazz…. Sapevano dove andare la sera per gli “after hours”, chi andare a sentire, eccetera. Ovviamente diventammo amici, e più avanti sposai il batterista, ma prima fummo amici. Poi, andammo a vivere in un loft, questo prima che il quartiere diventasse “Soho”, prima non era per niente caro… E in effetti, l’ho trovato io, il loft. L’ho trovato con un’amica. E lo volevo perché ci potevi fare musica a qualsiasi ora. Non c’era nulla al suo interno, nemmeno la cucina. Abbiamo dovuto arredarlo di sana pianta.

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E.S.: Poi cosa è successo?

J.C.: Cercherò di saltare un po’ avanti… Ora siamo negli anni ’60 e Frank ed io avevamo iniziato a vivere insieme nel loft. E a qual punto mi chiesi: dove sarei andata a cantare? Chiamai il “Villagegate”. Ricordo di aver chiamato anche il Top of the Gate…. “Chi è Jay Colantone?.... Nessuno….”. Non dimenticherò mai Art d’Lugoff e quel che mi disse. Mi disse: “Perché dovrei ingaggiare te? Nessuno ti conosce! Voglio dire, guardiamo in faccia la realtà!” Io però avevo tanta voglia di cantare, così iniziammo a organizzare concerti nel loft. Presentavamo i concerti proprio lì, a casa nostra. Avevo un piano, un impianto voce, preparavamo dei volantini e organizzavamo i concerti. Facevamo pagare un piccolo ingresso, e venivano a suonare musicisti quali Sam Rivers, Jeanne lee, Bob Moses, e molti altri. Venivano a fare dei “sit in” e venivano presentati al pubblico presente nel loft. In altre parole, se hai l’esigenza di cantare, devi cantare! In realtà mi sono creata da sola le mie occasioni, i miei gigs!
Dopo un po’, venne una persona che non era nemmeno un musicista a dirmi: “Sai che c’è un bar che sta cercando musicisti? Vogliono della musica, a loro non interessa neppure il genere, basta che sia musica”. Questo bar era di fronte al “Half.Note”. Mi recai in questo bar, e venni ingaggiata. Avrei dovuto cantare ogni weekend. Ci pagavano 75 dollari per la band al completo, per tutto il weekend: piano, basso e voce. Io stavo iniziando ad uscire con Frank, e lui era batterista, ma non potevamo avere un batterista in questa formazione. Dunque, portava con sé un piccolo “snare drum” e suonava comunque con noi.
Passai da una cosa a un’altra, dall’altra a quell’altra…. Dovevo cantare! Dovevo assolutamente cantare. E cantare ogni weekend, per me è stata una esperienza troppo bella! Si chiamava Pookie’s Pub, questo piccolo bar. E a questo punto vi racconterò un piccolo aneddoto su Charlie Mingus. Ma, guardando indietro, nella mia vita, non avrei mai pensato di diventare una cantante jazz. Con questo intendo dire che cantavo il jazz, ma non è che avessi mai desiderato diventare famosa. Mi interessava solamente la musica!

Ora passo all’aneddoto su Charlie Mingus.
Avevo circa vent’anni, e abitavo nel loft. Anzi, in effetti avevo subaffittato il mio loft perché pensavo di recarmi in Europa. Mi ero detta: “Vado in Europa”, perché tutti i musicisti stavano andando in Europa, e tutti parlavano dell’Europa. Anche Steve Lacy a quell’epoca era già stato in Europa ed era rientrato negli Stati Uniti. Poi però è ripartito ed è andato a Parigi. Dunque, avevo subaffittato il loft per poter partire per l’Europa, e l’unica cosa che avrebbe potuto fermarmi, sarebbe stato un ingaggio. E, ovviamente ottenni un ingaggio! Ottenni un gig in un piccolo bar, tutti i weekend. Il bar si trovava pressappoco di fronte al “Half-Note”, dove suonava sempre John Coltrane.
In quel periodo c’erano i problemi con la Cambogia. Mi ricordo che durante la nostra serata, a un certo punto vediamo entrare Charlie Mingus! Più tardi Mingus ci raccontò che stava passeggiando e riflettendo sui problemi della Cambogia, quando alzando gli occhi vide il bar, e vide un contrabbasso all’interno. Pensò: “Cosa ci fa un contrabbasso in questo minuscolo bar?”  Si trattava del Pookie’s Pub, il pub dove stavamo suonando noi! Potete immaginarvi l’emozione? Avevo circa vent’anni… Lui si siede al bar, e io sto cantando “Lush Life” o qualche altra canzone… Si fermò a parlare con il proprietario del locale. Lo salutai, ma ero molto emozionata. Charlie Mingus! C’erano pochi avventori nel bar, e in effetti, io non ero nessuno per poter attirare un folto pubblico. Ero semplicemente Jay Colantone….. Il proprietario del Pookie’s mi disse più tardi che Charlie Mingus gli aveva detto che gli era piaciuta la mia interpretazione di “Lush Life”…. Chi lo sa? E disse al proprietario: “I’ll put this place on the map”…(n.d.r.: Segnalerò questo locale). Capite cosa intendo per questo? Avrebbe aiutato a portare gente al locale. Avrebbe fatto in modo di riempirlo. E disse: “Suonerò qui”. La settimana successiva in cartellone figurava questa dicitura: “Jay Colantone and Charlie Mingus – No cover – No minimum”. Conservo ancora questa locandina da qualche parte…. Riuscite a immaginare la scena?
E, ovviamente, il locale era stipato di persone quella sera. Non fu una cosa lunga. Suonò solo un paio di brani con me. Mi pare di ricordare “Cry Me a River”, e qualcos’altro, che non ricordo. Tutto ciò che ricordo è il momento in cui Charlie Mingus ha suonato con me. E ora sono qui che penso: “Come è iniziato tutto?” Il punto è che ogni settimana il mio nome figurava sul Village Voice, e – non fraintendetemi, questo non mi ha reso famosa – ma in ogni caso, qualcuno continuava a leggere il mio nome, che in questo modo circolava. E poi ho conosciuto molti musicisti!
Mi pare che quella serata con Mingus sia stata filmata da alcuni studenti della N.Y.U., ora non ricordo, ma mi piacerebbe tanto risalire alle persone che sono in possesso di quel filmato per poterlo vedere o avere. Nessuno si ricorda di quell’episodio.

In ogni caso, tutto questo per spiegarvi che, un passo alla volta, continuavo ad andare avanti. Vedete, facevo così: facevo delle session, mi procuravo questi piccoli gigs, e poi una volta ogni tanto, proprio per vedere come me la cavavo, andavo a fare un “sit in” con qualche pezzo grosso. Avevo l’abitudine di andare a fare dei “sit in” con Jackie Byard, che era veramente una bella persona, e con Tony Scott, il clarinettista. Tony Scott aveva una session, dove suonava Jackie Byard – aveva una session ogni Domenica nell’East Village – non ricordo il nome del posto…. A volte veniva anche De Johnnette. E ogni tanto mi preparavo bene, mi vestivo elegante e andavo a mettermi alla prova con loro. Immaginatevi il coraggio che ci vuole per chiedere di poter suonare con loro! Una cantante, oltre tutto! Mi ricordo di avere atteso fino alle 2:00 del mattino prima di riuscire a chiedere di poter cantare con loro.  Ma alla fine lo feci! E loro furono estremamente gentili! E più avanti, vedendomi, mi chiesero loro stessi di cantare qualcosa. Per una cantante, fare un “sit in” è una cosa estremamente spaventosa. Mette paura. Ma dovevo farlo. Dovevo capire come me la stavo cavando. Sarei stata capace di farlo, o avrebbe vinto la paura? Sarei stata capace di cantare con loro? E la risposta è si. Ci riuscii, ed andò tutto bene.

Quando insegno, durante i miei workshops, chiedo alle cantanti di staccare il tempo per i musicisti. (Jay Clayton fa schioccare le dita). Le aiuto, le preparo…. Io ho dovuto risolvermi questa questione da sola! Quello fu uno dei primi posti in cui, salendo sul palco, staccai il tempo per i musicisti prima di iniziare il brano. E questa cosa è stata molto importante per me, perché più avanti Jackie Byard mi chiese parecchie volte di cantare un brano anche in altri locali, in quanto girava parecchio. E’ sempre stato estremamente gentile, e mi dava delle opportunità, anche se ero molto giovane e inesperta. Avevo una ventina d’anni….
Così iniziai a conoscere dei musicisti e a guadagnarmi il loro rispetto, ma molto lentamente. Ho sempre dovuto attendere e pazientare per poter cantare. Ma mi permetteva di capire che ce la potevo fare. Mi permetteva di misurarmi con me stessa. Non l’ho mai fatto per diventare famosa. Non mi importava! Chi ero? Non è che qualcuno mi ascoltasse…. E ho cantato anche con Elvin Jones. Alla fine il Pookie’s Pub era diventato un locale di punta, dopo la visita di Mingus, e continuò ad esserlo per un po’. Iniziarono a ingaggiare dei nomi, tra cui Elvin Jones.  Una sera lui stava suonando con Billy Green al piano. Chiesi di poter cantare con loro. E ancora, mi dico, che coraggio, che sfrontatezza! Perché lo facevo? Proprio per vedere se riuscivo a cavarmela, e a salire sul palco con quei giganti. E lo feci. Cantai “Round Midnight”.

Quando insegno, dico sempre: “Dovete imparare cantando. Dovete trovare un modo per farlo. Dovete trovare un gig! L’occasione per esprimervi, per cantare!” E intendo, un vero gig! Non importa che il pubblico sia pagante, o quanto paghi per ascoltarvi; ma dovete trovare un posto dove cantare per migliorare, e se non lo trovate, inventatevi delle situazioni!” Negli anni ’70 mi sono inventata un’altra situazione. In quel periodo avevo dei figli, mi ero sposata da tempo, e abitavamo a Tribecca. Sapete, c’è Soho, e c’è anche Tribecca. Allora non si chiamava ancora Tribecca, era un quartiere “libero”. Ogni qualvolta un quartiere otteneva un “nome”, dovevamo traslocare e trovare una nuova casa, in quanto aumentavano gli affitti. Quando Soho divenne Soho, ci spostammo a causa dell’aumento degli affitti e trovammo casa  downtown. Mentre abitavamo a Tribecca, c’era un bar a un isolato di distanza da casa nostra, il Prescott’s. Mi presentai e ottenni una serata alla settimana. Conoscevo abbastanza musicisti, e se non erano impegnati da altre parti e non stavano lavorando, venivano volentieri perché si trattava di buona musica, erano standards, e si suonava davvero! Non si trattava di un gig commerciale… Il proprietario del locale doveva incassare una certa somma ogni sera, superata la quale, tutto ciò che guadagnava in più, lo dava a noi. Ammettiamo che il suo tetto fosse di 200 dollari a sera. Qualsiasi cifra prendesse al di sopra dei 200 dollari veniva versata a noi. Ecco come venivo pagata. E in questo locale incontrai Jane Ira Bloom, sassofono soprano. E’ grandiosa! Per cui stavo mettendo insieme il mio repertorio, stavo imparando, facevo i miei soli… Perché era un bar, non era una sala concerti. Però di concerto si trattava quando suonavamo! Io agivo come in concerto, ma diciamo che potevi osare un po’ di più rispetto a un concerto in un ristorante o in qualche altro posto.
Un altro evento importante degli anni ’70 riguarda Rashid Ali, il batterista. Aveva uno spazio in Green Street e aveva un piccolo Club, e venni presa per sei sere alla settimana! E quando mai si fanno sei sere di fila alla settimana? Che soddisfazione e che sound quando arrivi al sabato sera! Pensate a cosa succede ora che si arriva al sabato! Questo è stato un altro locale in cui ho potuto cantare con diversi fiati, un quintetto e fare ciò che mi piaceva.

Negli anni ’80 andai a vivere a Seattle. Ora sto pensando in decadi: gli anni ’60 nel mio loft, stava accadendo tutto il free, e io stavo portando avanti entrambe le cose. Prima facevo la musica free, e poi gli standards. Negli anni ’70 le cose iniziarono a prendere più forma, e iniziai a capire come inserire entrambe le cose in un unico set. Mi reputo molto fortunata in quanto sono riuscita ad ascoltare e a vedere tutti i grandi dell’epoca: tutti i musicisti free: Ornette, Bob Berg, che era mio vicino di casa, Bob Moses, Jeanne Lee. C’erano un sacco di musicisti nei loft, di conseguenza si poteva cantare con loro, suonare con loro. Ma dico che sono fortunata perché ho avuto l’occasione di esserci mentre accadeva tutto, e ho potuto vederli e ascoltarli dal vivo. E, ovviamente tutto ciò che ascolti e che vivi quotidianamente lo assorbi, anche senza volerlo. Quando le cantanti mi chiedono: “Come fai a fare ciò che fai? Come si fa?” Rispondo semplicemente: “Se continui ad ascoltare un certo tipo di musica, ti accorgerai che ben presto ne verrai influenzata!” Mingus ed Eric Dolphy… amavo ciò che facevano! Sono stata fortunata a vederli ed ascoltarli live! Sapete, non ho deciso consciamente di cantare musica free. Non ho deciso quello che avrei cantato. E’ successo e basta. E’ una cosa che è cresciuta e maturata dentro di me. Non mi sono detta: “Voglio fare questo”. Ecco cosa cerco di spiegare o dire ai giovani musicisti: seguite la musica che amate, e alla fine si svilupperà e fiorirà.

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In ogni decade accadeva qualcosa di diverso. C’è stato anche un “Sweet Basil” che ora è diventato “Sweet Rhythm”. Ho lavorato lì all’inizio, ma non sono mai diventata tanto importante da cantare nei Club veramente grossi. Ancora oggi non canto nei grossi Club. Canto gli standard, al Village Gate, al Village Vanguard. Non si tratta del tipo di club. Per me l’importante è fare musica e seguire la mia musica.

Negli anni ’70 incontrai Cobi Narita della Universal Jazz Coalition, e lei mi trovò un ingaggio: ogni weekend in un grande ristorante nella Lower East Side. Dovevo vestirmi molto elegantemente, e potevo cantare con chiunque desiderassi. Ho cantato con Cecil McBee, John Abercrombie, con chiunque fosse libero e disponibile! Li conoscevo, dunque non era difficile. Lì ho lavorato ancora in trio.

Ora vi racconto una storiella buffa. Siamo negli anni ’70, sono in un locale e sto cantando. E chi entra dalla porta d’ingresso? Tony Scott! E questa volta è lui che fa un “sit in” con me! Potete immaginare la cosa? Tony Scott, con cui facevo i miei “sit in” quand’ero agli esordi…. E’ venuto lui a fare un “sit in” con me!

Un’altra persona che venne fu Muhal Richard Abrams. Era un pianista free, molto famoso. Era nel Chicago Art Ensemble, in tutto il movimento, in tutta quella cosa free… Una persona straordinaria! Io cantavo per la maggior parte standards, ma ci mettevo anche del free. Un paio di mesi dopo la sua visita, - e a quel punto ero un po’ depressa, perché non stavo veramente guadagnando con questo lavoro….mi dicevo: sto cantando dal ’63 e siamo quasi alla fine degli anni ’70…. Sto insegnando, lavorando in ufficio…. Mi chiedevo: “Cosa farò?” Avevo due bambini. Mi ricordo che ero sdraiata sul letto, e avevo tutti questi pensieri, quando squilla il telefono. E chi è? Muhal Richard Abrams. Mi chiede di fare un concerto con lui al Joseph Papp Theatre, che è un grande spazio dove si faceva teatro, e dopo teatro si faceva del  new jazz, alle 23:00. E Muhal Richard Abrams con George Lewis, Roscoe Mitchell, Chico Freeman, J.D. Parrin…. Mi chiede di fare questo concerto con lui! E questa è stata una bella stampella a cui appoggiarmi in quel momento! Ecco cosa succede, una volta ogni tanto ti arriva qualcosa che ti aiuta a risalire a galla quando sei demotivata. Ero quasi pronta a smettere di cantare. Poi abbiamo inciso un disco: “Spihumonesty” – Spirit Human Honesty: queste tre parole lui le ha unite per crearne una sola. Ogni volta che succedeva una cosa di questo genere, mi motivava ad andare avanti. Ovviamente mi aiutava anche a far circolare il mio nome e a farmi conoscere.
Ma la mia motivazione non era la fama. Non che ci sia nulla di male a voler diventare famosi, a me fa piacere che voi sappiate chi sono, non sarei qui se voi non mi conosceste, no? Ma ciò è meraviglioso perché conoscete la mia musica. Però sapevo anche che devi godere di una certa credibilità ed avere una certa visibilità per poter lavorare con certe persone. E per lavorare in certi luoghi, se non sei nessuno, non ci lavori. Non è che si voglia lavorare per il luogo in cui si lavora, ma piuttosto, nel mio caso, per le persone con cui lavoro. Desidero poter ingaggiare, chiamare i  musicisti che conosco e che ammiro. Sono fortunata perché nel corso degli anni mi sono guadagnata la stima di ottimi musicisti come George Cables, e anche Gary Bartz . Mi rispettano e lavorano volentieri con me. E quando hanno inciso con me, vi assicuro che non l’hanno fatto per il danaro, in quanto non ho pagato grosse somme. Ma, per arrivare al succo del discorso, più hai il desiderio di cantare, più devi costruirti una credibilità e visibilità. Inoltre si migliora! Si migliora moltissimo lavorando con musicisti molto preparati. Migliori sono i musicisti, migliore è la nostra resa. Ecco, questa è la mia storia. Non è molto, ma la morale è: non mollate ciò che amate, e continuate a farlo.

Negli anni ’80 venni invitata a insegnare a Seattle, Washington, ma non ci volevo andare. Non volevo spostarmi da New York. Ma si trattava di un momento in cui ero in una fase di abbattimento. A un certo punto ti capita di essere stanca di essere sempre tanto povera, e ti stanchi della gara, della corsa, ti stanchi di doverti sempre preoccupare di dover trovare delle situazioni in cui cantare. Ci si sente stanchi, ed io in quel momento avevo bisogno di un cambiamento, Mi hanno invitato a Seattle, e ho risposto no in un primo momento; poi però, dopo essermi recata là per un workshop, ho deciso di accettare la proposta e di andarci, perché non avrei smesso di cantare, c’era musica anche là. Julien Priester è ancora là; c’era Gary Peacock in facoltà, c’erano anche Jerry Granelli e Art Lande. Non è che sarei andata a insegnare in un posto qualsiasi. Sapevo che sarei stata in grado di fare musica anche là, e avevo bisogno di una pausa. Mi recai a Seattle nel 1982, e ci rimasi per un po’, ma era uno stacco di cui avevo assolutamente bisogno. Ovviamente facevo concerti, insegnavo, avevo iniziato il mio programma, ma per una volta nella vita, alla fine di ogni mese, avevo un piccolo assegno sul quale contare. E composi anche della musica mentre mi trovavo là! Ma sapete, la vita cambia, e alla fine rimasi lì per 20 anni! Mi muovevo, viaggiavo anche… a quell’epoca avevo l’impegno di Vocal Summit in calendario. E’ interessante vedere come tutto ha coinciso. Venni invitata al primo meeting nel 1981 per trasferirmi nel 1982, dunque quando ricevetti l’invito per partecipare, sapevo già che mi sarei trasferita, e li avvertii. E quando feci il gig, ero già a Seattle. Dunque dal 1982 agli anni ’90, sono andata in tour con  Vocal Summit. In questo modo avevo una via d’uscita perché non avrei mai desiderato vivere in pianta stabile a Seattle senza la possibilità di uscirne, di viaggiare. Avevo anche altra carne al fuoco lì a Seattle: con i musicisti presenti in facoltà incisi “Circe Dancing”; erano musicisti bravissimi. Composi della musica, e inoltre i miei figli erano molto giovani, erano teenagers, e non mi andava che vivessero a New York. A Seattle erano in un ambiente più protetto, per cui penso che sia stata la decisione più giusta.

Alcune persone mi hanno detto che se non avessi lasciato New York, sarei diventata molto più conosciuta. Ma non m’importa, Certo, forse, se fossi rimasta a New York, avrei potuto godere di una maggior visibilità. Ma…. Ho messo la vita davanti all’arte. A quell’epoca era stata la cosa giusta da fare e non me ne pento. E in ogni caso, sono andata avanti con la mia musica. Non mi sarei fermata là per 20 anni se non avessi potuto sviluppare la mia musica! C’è un circuito Jazz a Seattle; c’è Jazz Alley…. E dunque la musica non si è fermata. Cinque o sei anni fa ho ricominciato a fare qualche puntatina a New York. Poi le puntatine sono diventate soggiorni un po’ più lunghi; due settimane, un mese. Una volta mi sono fermata per tutta l’estate.  E quando è venuto il momento, mi sono dimessa a Seattle e sono tornata a new York. E non mi dispiace di avere preso questa decisione. Ho avvertito la scuola, ho insegnato per l’ultimo semestre, e sono tornata a New York. E continuerò a cantare finché non rimarrò senza una lira! Conoscete quella barzelletta sui musicisti jazz che vincono un sacco di soldi alla lotteria e dicono: “Oh! Continueremo a suonare finchè non avremo finito tutti i soldi!” (ride)…

Non mi spiace, era giunto il momento per tornare a New York, perché ora stanno accadendo un sacco di cose per me lì. Ho le mie collaborazioni e sto venendo molto più spesso in Europa perché mi sento psicologicamente più vicina – New York è più vicina rispetto a Seattle -  si tratta solo di un viaggio arero, ma da Seattle pareva molto più lontano. Quando abitavo a Seattle, non avrei mai preso in considerazione l’idea di venir fin qui per una sola settimana. Ora da New York, non ho problemi. Mi sposto anche per una sola settimana. E’ un viaggio di sei ore. Inoltre se non hai l’obbligo della presenza a scuola, ti senti più libera di prendere altri impegni. Anche quando insegnavo, ogni semestre partivo per qualche tour, ma sentivo molto la responsabilità…. Dunque come libera professionista, non ho obblighi. Mi creo il mio lavoro, e parto quando mi aggrada.

E.S.: Cosa ci racconti dei tuoi progetti?

J.C.: Sto lavorando a un progetto con Kurt Nurock, su Emily Dickinson… duo piano e voce perché abbiamo lavorato insieme circa trentacinque anni fa, poi mi sono trasferita, e non ne abbiamo fatto nulla. Abbiamo inciso tantissimo, ci sono talmente tante registrazioni! Ora ci troviamo ogni weekend, abbiamo tutto questo materiale, e non so per chi lo faremo, ma tutto questo va assolutamente inciso. Il mio materiale solistico. Lavoro anche con la ballerina di tip tap Brenda Bufalino.

E.S.: Pensi di riprendere con Vocal Summit?

J.C.: Vocal Summit non è tra le priorità della lista, ma dovrebbe indubbiamente rivivere; non con quel management, ed io non ho un management. Ma se dovessimo incidere, ci staremmo tutte: Norma Winstone, Michele Hendricks e Urszula Dudziak lo farebbero. Ma viviamo tutte in luoghi diversi e lontani, dunque questo progetto non è proprio tra le priorità….
Poi ho la mia musica vocale, la poesia con l’elettronica, ho Gary Thomas…. Desidero fare qualcosa con Gary Thomas, Anthony Cox e Granelli. Potrei facilmente far qualcosa con loro, perché abbiamo lavorato insieme in svariate situazioni, e si conoscono tra di loro. Questo sarebbe un progetto molto importante. Poi ho un duo con Jack Wilkins, chitarrista. Abbiamo presentato standards per anni, e anche questo progetto dovrebbe essere inciso.
Inoltre, ho avuto una richiesta da parte di Chamber Music America per fare un brano con Jane Ira Bloom, sax, e Jerry Granelli. Abbiamo un trio che si chiama “Outskirts”, nel quale ci avvaliamo di molta elettronica tutti quanti. Ho composto questo brano – in realtà non c’è molta scrittura – ma ho strutturato un brano free per noi tre, e ovviamente tutto questo si adatta talmente bene a tutti noi… Onestamente suoniamo molto bene insieme. Siamo molto affiatati. In altre parole, non ci sono molti musicisti ai quali potresti dire: “OK, suoniamo e basta”…. Ma noi tre siamo in grado di farlo, dunque anche questo progetto andrebbe registrato.
E ho un altro trio, con Fritz Power ed Ed Newmeister. Mi piacerebbe molto girare con questo gruppo, perché loro vivono in Europa, sono già qui. Abbiamo inciso, ma è una incisione autoprodotta, te la farò avere. Si chiama “Three For The Road” e l’abbiamo realizzata a Vienna, quando stavo insegnando insieme a loro. Si tratta per la maggior parte di improvvisazioni free.

E.S.: Che suggerimenti daresti agli studenti di canto e ai cantanti?

J.C.: Puoi andare a scuola per dieci anni, ma se non ascolti la musica, ti mancherà sempre qualcosa di molto importante. Sarai in grado di suonare, ma non sarai un grande. Non necessariamente. Oppure puoi non andare a scuola, ma se continui ad ascoltare, puoi imparare tutto. E parlo molto seriamente: una cosa che i cantanti devono ricordare bene è che devono imparare il linguaggio. Ascoltate attentamente tutto ciò che fanno gli strumentisti. E dico agli strumentisti: ascoltate i cantanti! E’ una cosa che funziona in entrambe le direzioni, e non si tratta di un optional. L’ascolto è la cosa più importante. Vi do molte cose da fare quando insegno, ma nulla funzionerà se non ascoltate. Questa musica la si impara per osmosi. E i meno esperti imparano dai più esperti. E tutti abbiamo qualcuno di più esperto da cui imparare………..

 

Quando dico che tutti abbiamo qualcuno di più esperto da cui imparare, un buon esempio che posso fare è il mio rapporto con Sheila Jordan. Sheila Jordan è sempre stata una fonte d'ispirazione per me, e sto ancora imparando da lei, sebbene lavoriamo affiancandoci per dei workshops e lei mi consideri una amica. Mi incoraggia molto, ma io da lei continuo a imparare. Insegnamo insieme, e lei mi rispetta, ma lei è Sheila Jordan, e da lei imparo costantemente; riguardo la vita, lo spazio, l'onestà..........
 

 

Jay Clayton and Italian Jazz Singers

Jay Clayton con cantanti jazz italiane - Eleonora D'Ettole, Paola Luffarelli, Laura Fedele, Jay Clayton, Daniela Panetta, Guido Padovan, Eva Simontacchi, Paola Folli